Traumi fisici e psicologia

IL TRAUMA FISICO COME ESPERIENZA DI VULNERABILITÀ E DIPENDENZA: L’INTERVENTO DEL PROFESSIONISTA DELLA RIABILITAZIONE

Psicologia e sport

Quanti di voi non hanno mai avuto un trauma fisico a carico della schiena, delle articolazioni o della muscolatura? Le persone che praticano sport, ma non solo, sono certamente i soggetti più esposti a fratture o danni all’apparato muscolo-scheletrico a causa di allenamenti faticosi e duraturi o semplicemente per incidenti. Ogni corpo esposto alla fatica e al lavoro muscolare ha una certa probabilità di danneggiarsi, come una macchina che a forza di macinare chilometri a una certa andatura può forare una gomma o rompere qualche parte meccanica.

La mia intenzione non è focalizzarmi sulle cause fisiche dei traumi che come sappiamo possono essere estremamente varie e dipendenti da un numero impressionante di fattori. Come psicologo, sono interessato alle reazioni psicologiche al trauma e a come queste possono influenzare la sua gestione e la motivazione alla guarigione della persona. È forse inutile affermare che la reazione psicologica ad un infortunio assume un significato specifico per ogni persona: ciò dipende dall’entità del danno subito e da molte variabili di carattere personologico e sociali. Quando ci facciamo male possiamo sentirci, oltre che doloranti, anche preoccupati, arrabbiati, tristi e demoralizzati fino a sperimentare un certo senso di colpa per quanto subito, sentendoci in parte responsabili di aver osato troppo, di non aver saputo interpretare correttamente le sensazioni del nostro corpo, ecc.

Queste reazioni sono assolutamente normali nell’immediato ma se perdurano possono influenzare le nostre capacità di recupero, trasformandosi, a volte, in stati depressivi in cui non riusciamo più a vedere la luce fuori dal tunnel. La prima richiesta d’aiuto parte dalla ricerca di un professionista (osteopata, fisioterapista, ecc) che sia in grado di occuparsi di noi. Quando dico occuparsi di noi, non parlo solamente del nostro problema muscolare, parlo proprio di “NOI” come persone, dei nostri sentimenti e delle nostre preoccupazioni legate allo spiacevole episodio. Capace e risolutivo sarà quel professionista che non fingerà di non vedere questa parte importante che esibisce il paziente.

Ora mi rivolgo ai professionisti esperti in materia: se pensate che non sia una vostra responsabilità occuparvi anche di questo, avete ragione, non lo è, ma il paziente se lo ricorderà e nel momento in cui dovrà affrontare una ricaduta o l’inefficacia della vostra terapia, potrebbe scegliere di andarsene e cercare un altro professionista. Una persona che sta affrontando un trauma, che lo tiene lontano dalle sue attività per lungo tempo, rivela a sé e agli altri il proprio modo di gestire il dolore e la propria vulnerabilità. Non è compito del fisioterapista o dell’osteopata ricamarsi addosso le vesti dello psicologo e tanto meno identificarsi come psicoterapeuti. Il punto non è questo. Quello che voglio sostenere è l’importanza di saper sostenere un dialogo con il paziente, ascoltarlo ed interessarsi al suo vissuto. Tutto questo, oltre alla bontà e all’efficacia della terapia, concorre alla costruzione di un legame di fiducia e di sostegno fondamentale per il perseguimento di obiettivi di recupero e di motivazione alla cura, quali: svolgere gli esercizi riabilitativi a casa, essere presenti e puntuali alle sedute, assumere le terapie farmacologiche, ecc. Se il paziente si sente valorizzato, acquista fiducia in sè ed affronta con pazienza e fiducia il percorso riabilitativo. Il professionista può, indirettamente, agire e fortificare quello che denominiamo “resilienza”, ovvero la capacità individuale di rispondere e tollerare lo stress.

Come si sviluppa la resilienza? Quali fattori concorrono al suo sviluppo?

Il rapporto con la propria madre è sicuramente un’esperienza decisiva nelle esperienze di vulnerabilità. Da piccoli viviamo una condizione di chiara dipendenza e la nostra sopravvivenza dipende dal nostro caregiver che si occupa dei nostri bisogni fisici e psicologici. Se abbiamo ricevuto buone cure e protezioni nelle situazioni di vulnerabilità e difficoltà, saremo adulti che si considerano amabili e hanno fiducia negli altri; in caso contrario, sperimenteremo grande disagio, idee di insopportabilità allo stress e poca fiducia negli altri. Le prime esperienza infantili segnano in maniera marcata la nostra attitudine a reagire allo stress e così sarà nella vita adulta. Ogni esperienza traumatica, sia fisica che psicologica, getta la persona in una condizione di dipendenza momentanea, proprio come da bambini. Se l’esperienza di dipendenza da bambino è stata positiva, allora proveremo un senso di fiducia e ottimismo, se invece la nostra esperienza si è rivelata insoddisfacente e frustrante, saremo ansiosi, preoccupati e sfiduciati.

Ogni paziente che incontrerete sulla vostra strada porterà dentro di sé una specifica esperienza di dipendenza e un proprio modo di reagire ad essa. Un trauma fisico, qualsiasi esso sia, conduce la persona a rivivere le antiche esperienza di vulnerabilità e bisogno di cura sperimentate nell’infanzia ed identificherà voi, in quel preciso momento, come la persona che si sta prendendo cura di lui. La buona efficacia del vostro intervento dipenderà, quindi, non solo dalle vostre abilità tecniche e dal saper eseguire con efficacia gli interventi manuali, ma molto dipenderà dal modo in cui vi sarete occupati del paziente, dal valore e dall’importanza che gli avete dedicato in termini di ascolto, evitando il giudizio e la critica, rinforzando la fiducia nelle proprie capacità di affrontare il trauma, sottolineando i miglioramenti, evidenziando gli sforzi fatti. Il concetto di riabilitazione, in questo senso, si amplia notevolmente andando ad integrare gli aspetti fisici e psicologici in una visione più olistica della persona. Non occorre essere psicologi per affrontare questa parte importante, solitamente il tutto si racchiude in un’unica prescrizione: “siate gentili e interessati”.

Nel momento in cui il professionista avverte difficoltà a carattere psicologico, che possono manifestarsi in crisi depressive, bisogno di rassicurazione costante, telefonate continue, sensazioni dolorose e disturbi somatici senza evidenti riscontri clinici, sarebbe auspicabile l’invio allo psicologo per una valutazione. Ovviamente, anche il passaggio che prevede l’invio presso un altro professionista è un momento delicato: deve essere ben motivato e spiegato al paziente, perché ricordiamoci che la persona si aspetta da voi le cure e le attenzioni necessarie, per cui potrebbe leggere in voi il desiderio di sbarazzarsi di un problema.

Dott. Matteo Manfredini

Psicologo Psicoterapeuta

Vi ricordo che potete trovarmi a Formigine e Pavullo

 

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